A più di un mese dall’avvio del lockdown nazionale conseguente allo stato di emergenza da COVID-19, abbiamo posto alcune domande* a Oscar Bertetto, fondatore e direttore della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta che, lo ricordiamo, partecipa al WP3 Piemonte “Valutazione di efficacia di diverse strategie di interventi di Audit and Feedback nel miglioramento della qualità e dell’equità dell’assistenza oncologica regionale”.
L’emergenza sanitaria da COVID-19 ha imposto nel Servizio Sanitario Nazionale una tempestiva redistribuzione delle risorse umane e materiali nonché una temporanea riorganizzazione strutturale. Quali sono gli impatti immediati nel settore oncologico?
Il primo importante intervento da mettere in atto è di cercare di separare i percorsi dei pazienti presumibilmente o sicuramente infetti dai pazienti non infetti. Questo diventa ancora più rilevante per i malati oncologici, soprattutto se sottoposti da poco a interventi chirurgici o a cicli di chemioterapia o affetti da tumori polmonari perché dall’esperienza cinese essi risultano più esposti al contagio e presentano un più grave decorso della malattia. Si è dovuto quindi organizzare prima degli accessi agli ambulatori, day hospital e reparti oncologici un accurato triage che attraverso un’attenta anamnesi e la misurazione di alcuni parametri clinici, primo fra tutti la temperatura corporea, potesse ridurre il rischio di ingressi di malati potenzialmente positivi e infettanti.
La rapida diffusione dell’epidemia ha reso necessario convertire numerosi reparti per consentire l’assistenza ai malati di coronavirus. Questo ha portato alla chiusura di sale operatorie per trasformarle in spazi con letti di rianimazione, alla riduzione degli interventi chirurgici oncologici più complessi per carenza di letti in rianimazione e mancanza di anestesisti impegnati nei reparti di terapia intensiva per malati COVID-19, alla riduzione di letti di ricovero per i malati oncologici trasferiti presso altri reparti e in spostamenti di day hospital oncologici per collocarli in aree ospedaliere meno a rischio di commistione con percorsi di malati infetti. Anche la possibilità di esami diagnostici e di controllo sia in ambito radiologico che endoscopico hanno registrato una flessione per l’impegno di questi servizi nell’affrontare l’emergenza. Deve poi essere aggiunto il numero, in alcune realtà tutt’altro che ridotto, di operatori, medici e infermieri, colpiti dalla malattia, in alcuni casi in forma grave, e di quanti sono stati messi cautelativamente in quarantena in attesa di un tampone negativo. Si è trattato dunque di un notevole impatto in ambito oncologico, con la necessaria scelta di garantire le prestazioni indifferibili, i trattamenti in corso, le terapie il cui beneficio fosse ragionevolmente superiore ai rischi corsi dal paziente in questo periodo e di rinviare tutti i controlli che potevano essere posticipati senza problemi, dopo opportune telefonate per sincerarsi dello stato di salute del paziente.
In particolare, qual è la situazione attuale all’interno della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta?
Ho personalmente monitorato in modo costante in questi giorni quanto avveniva nei vari ospedali della Rete, a partire dalla prima area pesantemente interessata dalla infezione: la provincia di Alessandria, che purtroppo ha visto anche alcuni casi di gravi infezioni degli operatori sanitari. Sin dall’inizio ho inviato raccomandazioni per cercare di ridurre i rischi infettivi sia per i malati sia per gli operatori, invitando anche a utilizzare in modo più intensivo tutti i mezzi telefonici e telematici a disposizione per ridurre le occasioni di incontro, senza rinunciare alla discussione multiprofessionale dei casi clinici più complessi. Attualmente grazie all’impegno di tutti i responsabili dei Gruppi Interdisciplinari di Cura vi è un quadro completo per ogni tipo di tumore nell’attuale situazione delle possibilità di trattamento dei pazienti e degli eventuali ritardi per ciascun ospedale delle due Regioni.
Devo dire che la Rete sta dimostrando una notevole capacità di rispondere alle principali prestazioni dovute; in alcune Aziende Sanitarie vi sono condizioni di maggiore sofferenza, soprattutto per la chiusura di alcune sale operatorie e la carenza di anestesisti- rianimatori, ma si stanno mettendo in atto operazioni che dovrebbero garantire, seppure con la richiesta ai pazienti di alcuni spostamenti presso altri centri di riferimento, il rispetto dei tempi per il trattamento previsti.
Le prestazioni avvengono in tutte le sedi seguendo precise procedure che assicurano al paziente le migliori protezioni possibili nei confronti del rischio infettivo, che non può essere in assoluto evitato, ma certamente reso improbabile. Forse la preoccupazione maggiore, in questo momento, è la riduzione consistente di prime diagnosi, dovuta alla sospensione temporanea degli screening, ma soprattutto alla sottovalutazione che in questi momenti di forte tensione emotiva per l’epidemia in corso porta pazienti, famigliari e talvolta medici a non approfondire tempestivamente con dovuti esami e visite sintomi sospetti. Il pericolo di questa paura, seppure comprensibile, che allontana ora dagli ospedali è che si abbiano diagnosi di tumore più tardive e quindi di più difficile trattamento anche per una improvvisa concentrazione di casi al termine della fase più acuta della epidemia.
In questo scenario emergenziale che rischia di protrarsi nel tempo, al quale seguiranno fasi successive ancora non così ben delineate, in che modo il WP-Piemonte intende condurre l’attività di Audit & Feedback nell’ambito dell’assistenza oncologica regionale nonché la gestione del protocollo ERAS (arruolamento pazienti, attività didattica)?
Credo che tutti i protocolli di ricerca abbiano in questo periodo difficoltà nella loro conduzione. In particolare per ERAS si dovranno prevedere ritardi nell’avvio dei nuovi centri anche per la avvenuta obbligatoria interruzione dell’attività didattica prevista prima dell’apertura di una nuova sede. In effetti, la modalità di affrontare interventi chirurgici con la prospettiva di una più rapida ripresa post-operatoria del paziente, un minor numero di complicanze previste, una più precoce dimissibilità dovrebbe, a maggior ragione in era COVID-19, spingere verso l’adozione di tale protocollo. La mia prospettiva, da discutere a fondo circa la sua percorribilità con i responsabili dello studio, è di proseguire il prima possibile con tale protocollo perché credo che sia il corretto approccio chirurgico da estendere al maggior numero di pazienti, senza ritardare troppo rispetto al cronoprogramma indicato dal progetto, per ora rivolto agli interventi per il carcinoma del colon-retto e ginecologici. Penso che la riuscita del progetto abbia infatti importanti ricadute, perché gli aspetti formativi e riorganizzativi gioveranno all’estensione di ERAS ad altre tipologie di interventi chirugici, molti di interesse oncologico. Una minor permanenza in ospedale è infatti auspicabile se può essere assicurata la piena sicurezza della procedura adottata come si propone lo studio.
* Intervista a cura di Paola Ivaldi che cura la Comunicazione del WP3 Piemonte per il programma EASY-NET.
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