A&F in Italia: l’esperienza di EASY-NET è il titolo della lettura tenuta da Roberto Grilli, Azienda USL – IRCCS di Reggio Emilia, il 15 ottobre in occasione del primo meeting online della serie “A&F CONNECTIONS. In practice and in response to Covid-19”. Un’occasione per commentare i risultati preliminari della survey proposta e portata avanti dall’area di lavoro trasversale sull’A&F con l’obiettivo di descrivere le caratteristiche degli interventi nell’ambito del programma multiregionale di rete EASY-NET e per avviare una riflessione e aprirsi a un confronto con le realtà internazionali che si occupano di A&F.
La sfida per EASY-NET è lavorare sulla ricerca organizzativa domandandosi come applicare l’A&F ed ottenere i migliori risultati in termini di pratica clinica, per progettare interventi che forniscano informazioni utili ai professionisti, senza dare la sensazione che si sia messo in piedi un sistema di controllo del loro operato, sforzandosi di creare una rete tra epidemiologi e clinici, coinvolgendo questi ultimi sin dalle prime fasi di disegno dell’intervento per accogliere i loro reali bisogni di miglioramento dell’attività che svolgono.
Cosa si sta facendo in tema di A&F nel contesto specifico di EASY-NET?
L’orizzonte su cui poggiare il commento dei risultati preliminari rende necessarie due premesse. La prima è che quando parliamo dello strumento dell’A&F ci riferiamo ad una famiglia di interventi, anche molto diversi tra loro per le modalità concrete con cui sono poi messi in pratica. La seconda è che anche se gli interventi di A&F hanno l’obiettivo di fornire un ritorno informativo ai professionisti sulle loro performance, il modo in cui sono messi in atto è funzione del contesto di applicazione, della problematica affrontata, dei professionisti coinvolti a cui l’A&F si rivolge e così via.
“La raccolta dati dal questionario utilizzato è ancora in corso. Non tutti i progetti hanno potuto fornire le informazioni necessarie perché non ancora arrivati agli step utili alla definizione puntuale di ogni aspetto dell’intervento di A&F che intendono attuare”, è l’ulteriore premessa di Grilli, coordinatore del gruppo trasversale di lavoro sull’A&F in EASY-NET. L’elaborazione di un intervento di questo tipo è un processo che richiede tempo, tanto più se fatto in un momento così particolarmente critico come quello che stiamo vivendo.
“Il primo obiettivo della raccolta dati era avere un quadro il più possibile esaustivo degli interventi che ciascuna Regione ha messo in atto nell’ambito del proprio specifico contesto”, spiega Grilli. In secondo luogo, vi era anche lo scopo più operativo di costruire una guida generale per i diversi gruppi regionali, esplicitando i passaggi da seguire per disegnare un organico e strutturato sistema di A&F funzionale alle singole specifiche esigenze. Infine, un altro obiettivo della survey era provare a confrontare quanto fatto dalle singole Regioni che partecipano ad EASY-NET con le 15 raccomandazioni fornite dagli esperti su come dovrebbe essere fatto un intervento di A&F per massimizzarne l’efficacia.
L’A&F in ambito EASY-NET: risultati preliminari
La prima considerazione riguarda la composizione dei team che si assumono il compito di elaborare e disegnare il sistema di A&F. Sono rappresentati praticamente sempre i clinici, un aspetto ragionevole visto che gli interventi riguardano tematiche cliniche e sono i clinici ad essere il principale target degli interventi. Allo stesso modo ci sono sempre gli epidemiologi, i medici di sanità pubblica, gli statistici.
La presenza dei clinici offre lo spunto per affrontare anche una dimensione culturale della questione: la frattura tra il mondo dei clinici e il mondo degli epidemiologi, che rischia di impedire un reale e virtuoso scambio informativo, continua Grilli: “occorre lavorare sull’hardware, ovvero gli strumenti tecnici e pratici necessari per realizzare gli interventi di A&F, ma anche sul software, ovvero sugli aspetti culturali e di percezione da parte dei professionisti, probabilmente partendo dalla comprensione di quali sono i loro effettivi bisogni informativi, dalla individuazioni di quali siano le informazioni di cui avrebbero bisogno per fare meglio il loro lavoro”.
“Nulla può funzionare se non si investe sul rendere solida la fiducia da parte dei clinici, costruendo reti in cui i clinici abbiano la garanzia di avere costantemente un ritorno informativo funzionale non alla valutazione esterna, ma al miglioramento della pratica clinica”, concorda, infatti, Serena Donati, dell’Istituto Superiore di Sanità, operativo all’interno del WP6 Calabria. Lo scambio di competenze può esserci solo se tutti gli attori sono coinvolti in un progetto condiviso in cui epidemiologi e statistici mettono in campo la metodologia, finalizzata al disegno e alla conduzione di studi robusti, ma sta ai clinici sentire la libertà di suggerire le finalità della ricerca, degli interventi e quella della raccolta dati.
Colpisce anche l’apparente assenza dei servizi di Information & communication technology (ICT) nella composizione dei team. “Se è vero che il futuro dell’A&F sta dentro la capacità di sfruttare pienamente le enormi potenzialità informative di cui dispongono le aziende sanitarie e ancora sottoutilizzate, allora un primo preliminare pensiero vorrebbe questi soggetti più direttamente coinvolti in questa partita, per costruire un sistema articolato di A&F che sia capace di basarsi non solo sui dati amministrativi, routinariamente disponibili, ma che sia in grado di integrare questi dati con la cartella clinica informatizzata, per esempio, per avere la capacità di entrare in modo clinicamente più sensibile dentro i processi assistenziali e comprendere le ragioni che stanno dietro l’uso o il non uso di uno specifico intervento”, continua Grilli.
Da una prima analisi emerge anche l’apparente scarsa rappresentazione di coloro che hanno responsabilità organizzative e manageriali dentro le organizzazioni sanitarie, figure che sarebbero necessarie per immaginare processi di promozione di un cambiamento reale.
Una considerazione importante, riguarda l’implementation science, filone di ricerca scientifica orientato a trovare modi per modificare i comportamenti dei professionisti e delle organizzazioni: “c’è una grande enfasi sulla necessità di individuare il comportamento clinico-organizzativo che si vorrebbe modificare e le cui cause specifiche devono per questo essere analizzate. Per questo occorre quindi avere le idee chiare su che cosa esattamente si voglia cambiare, per poter poi definire altrettanto chiaramente come”.
“In questo senso, soltanto in pochi dei progetti regionali il comportamento clinico che si vorrebbe cambiare è chiaramente identificato”, aggiunge Grilli. “Un esempio è l’iniziativa della Calabria sui parti cesarei che, in questo senso, è molto “circoscritta”: è chiaro il comportamento che si vuole modificare, è chiara l’identificazione conseguente dei soggetti coinvolti, ovvero quali siano le parti in causa, ecc.”. Molti dei progetti hanno l’aspettativa, più ambiziosa, ma anche più problematica, di affrontare un problema generale o un’intera area assistenziale, senza una preliminare individuazione di cosa esattamente debba essere modificato. “Un esempio è il progetto della Regione Emilia-Romagna, dove l’A&F è calato nei percorsi assistenziali dei pazienti con diabete e scompenso”, continua Grilli. “Dentro questi due percorsi assistenziali ci sono molti problemi diversi, per cui costruire un sistema di A&F senza avere identificato chiaramente quali sono le circostanze cliniche sulle quali vogliamo intervenire ci pone delle sfide ulteriori sulle quali vale la pena fare un ragionamento: un conto è intervenire, ad esempio, sul problema del sotto-utilizzo dei beta-bloccanti negli scompensati, e su questo organizzare e focalizzare il nostro A&F, un contro è intervenire più genericamente sul PDTA dei pazienti con questa patologia”.
Nella gran parte dei casi apparentemente parliamo di sistemi di A&F che si poggiano in modo pressoché esclusivo su flussi informativi amministrativi, con i benefici ma anche con i limiti che questi pongono, ad esempio in termini di capacità di essere “clinicamente sensibili: questi flussi informativi ci dicono quali prestazioni sono state fatte, non dicono molto sulle effettive caratteristiche cliniche di chi li ha ricevuti e, quindi sui bisogni assistenziali ai quali cercano di rispondere. “Questo ha una serie di implicazioni”, conclude Grilli, “probabilmente rende anche più difficile la trasmissione del messaggio ai professionisti”.
A cura del Pensiero Scientifico Editore, per il Gruppo di Ricerca EASY-NET
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